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C’è una collina che guarda dall’alto una città. La città si chiama Sarajevo. Sulla collina, negli anni Novanta, alcuni uomini impugnavano fucili con mirini precisi. Ma non erano tutti soldati. Alcuni erano arrivati da lontano, avevano pagato per essere lì, per sentire nelle mani il peso di un’arma e il potere di decidere chi, laggiù nelle strade, avrebbe continuato a vivere.

Questa è una storia vera. È accaduta durante la guerra in Bosnia, tra il 1992 e il 1995, quando Sarajevo venne assediata e più di ottomila persone persero la vita a Srebrenica in quello che il mondo avrebbe poi chiamato genocidio.

Ma c’è un dettaglio che rende tutto ancora più oscuro: c’erano persone che pagavano – anche centomila euro – per partecipare a quella violenza. Li chiamavano “cecchini del weekend”, turisti della guerra. Partivano dall’Italia, da città come Trieste, e raggiungevano quelle colline. Lì, insieme ai cecchini serbo-bosniaci, sparavano contro civili inermi. Donne che andavano a cercare acqua. Bambini che giocavano. Anziani che attraversavano la strada.

Non combattevano per un’idea, per una terra, per difendere qualcuno. Sparavano per provare un brivido. Per sentirsi potenti. Per comprare, con il denaro, il diritto di uccidere.


La natura del predatore

Pensiamo di essere cambiati. Pensiamo che l’evoluzione ci abbia portato lontano dalle caverne, dalle lance, dalla legge del più forte. Eppure, millenni dopo, qualcuno sceglie ancora di essere un predatore.

Non tutti, certo. La maggior parte di noi cerca la pace, costruisce, ama, protegge. Ma esistono ancora quelli che scelgono la violenza come fosse un gioco, un’esperienza da provare, un safari dove la preda è un essere umano.

Questo ci interroga profondamente. Ci costringe a guardarci dentro e a chiederci: cos’è davvero l’umanità? Cosa portiamo con noi dai tempi antichi? E cosa possiamo ancora diventare?

La storia di Sarajevo non è solo la storia di una guerra. È uno specchio. Ci mostra che il male non è sempre lontano, non è sempre “l’altro”. A volte arriva da persone normali, che vivono vite normali, ma che un giorno decidono di attraversare un confine che non dovrebbe mai essere attraversato.


L’ambiente e la morale perduta

Immagina una città sotto assedio. Le strade vuote, le finestre sbarrate, il silenzio rotto solo dai colpi di fucile. Le persone escono solo quando è necessario, e anche allora corrono, si nascondono, pregano.

Sopra di loro, sulle colline verdi che un tempo erano luoghi di pace, ci sono uomini che guardano attraverso i mirini. Per loro, quelle persone laggiù non sono padri, madri, figli. Sono bersagli.

Quando la violenza diventa un prodotto che si può comprare, quando la morte diventa un’emozione da collezionare, abbiamo perso qualcosa di fondamentale. Abbiamo dimenticato che ogni vita è unica, preziosa, irripetibile.

Non è solo una questione di guerra. È una questione di ciò che scegliamo di essere quando nessuno ci guarda, quando pensiamo di poter fare quello che vogliamo senza conseguenze.


La terra gira

C’è un’antica saggezza che dice: la terra gira su se stessa. Prima o poi, tutto ritorna. Il cacciatore può diventare la preda. Chi semina violenza, raccoglie dolore.

Questa storia ci insegna che nessuno sfugge al proprio destino. Le azioni lasciano tracce, nella storia, nella memoria collettiva, nell’anima di chi le compie. Oggi, dopo decenni, le indagini sono state riaperte. Testimonianze e documenti hanno riportato a galla questa verità oscura. La giustizia, lenta ma inesorabile, sta cercando i responsabili.

Non è vendetta. È memoria. È il tentativo di dire: questo è accaduto, non lo dimenticheremo, non permetteremo che accada ancora.


L’insegnamento per tutti noi

Perché raccontare questa storia? Perché i bambini, gli uomini e le donne di tutto il mondo devono conoscerla?

Perché la storia è il nostro maestro più severo e più saggio. Ci mostra dove possiamo cadere se non prestiamo attenzione. Ci ricorda che l’indifferenza è complicità, che il silenzio è una scelta.

Oggi non ci sono cecchini sulle colline di Sarajevo. Ma in altri luoghi del mondo, la violenza continua. I modi cambiano, i tempi cambiano, ma la radice è la stessa: la dimenticanza della sacralità della vita.

Dobbiamo insegnare ai nostri figli che ogni persona merita rispetto, che la violenza non è mai un gioco, che il potere vero non sta nel dominare gli altri, ma nel proteggerli.

Dobbiamo ricordare che siamo tutti sulla stessa terra, che gira e gira, e che ciò che facciamo agli altri, in un modo o nell’altro, torna sempre a noi.


Conclusione: il destino e la scelta

La vita è unica. Ogni respiro, ogni sorriso, ogni lacrima. Nessuno scappa al proprio destino, ma tutti possiamo scegliere chi vogliamo essere lungo il cammino.

Possiamo scegliere di essere predatori o costruttori. Di seminare paura o speranza. Di dimenticare o ricordare.

I cecchini del weekend ci hanno mostrato il lato più oscuro dell’umanità. Ma noi possiamo scegliere diversamente. Possiamo scegliere la luce.

Questa storia non è solo un monito. È un invito. A essere migliori. A non dimenticare mai che dall’altra parte del mirino, della parola cattiva, dell’indifferenza, c’è sempre un essere umano. Proprio come noi.


Riepilogo:

  • Durante l’assedio di Sarajevo (1992-1995), alcuni stranieri pagavano per sparare a civili inermi
  • Questo fenomeno ci mostra che l’istinto predatorio può sopravvivere anche nell’uomo moderno
  • La violenza trasformata in “prodotto acquistabile” rappresenta una perdita morale profonda
  • La storia ci insegna che ogni azione ha conseguenze e che la giustizia, anche lenta, arriva
  • Il messaggio finale: possiamo scegliere di essere diversi, di proteggere la vita anziché distruggerla
  • La memoria è il nostro strumento per costruire un futuro migliore

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